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L’olio di oliva più antico al mondo conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli: le parole di Alberto Angela

L’olio di oliva più antico al mondo conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli: le parole di Alberto Angela
Una scoperta sensazionale, l’olio di oliva più antico al mondo è conservato a Napoli. A dare l’annuncio Alberto Angelo in un lungo posto su Facebook. Ecco cosa ha scritto: “Carissimi, è con grande piacere che voglio condividere con voi una notizia arrivata proprio in questi giorni. Per farlo, vi racconto questa storia che, forse, alcuni di voi ricorderanno. Era il luglio del 2018 quando mi trovavo con la troupe nel MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, per girare un servizio per SuperQuark sui suoi magnifici depositi che custodiscono migliaia di reperti rinvenuti soprattutto (ma non solo) a Pompei, Ercolano e in altri siti sepolti dalla drammatica eruzione del 79 d.C..
Avevamo appena finito di filmare il settore dei reperti in vetro (bellissimi). E, poco prima di lasciare la stanza, avevo notato una bottiglia di epoca Pompeiana, coricata in una cassetta polverosa: al suo interno intravedevo del materiale solidificato in perfetto stato di conservazione. Sono ormai 25 anni che realizzo servizi, puntate o libri su Pompei e avevo intuito subito la portata scientifica e storica di quel reperto dimenticato nei depositi. Quella bottiglia si trovava nel Museo dal 1820, quando era stata scoperta durante alcuni scavi di età Borbonica e collocata in questi sterminati depositi assieme a migliaia di altri reperti. Di quella bottiglia si era poi persa la memoria e, soprattutto, nessuno l’aveva mai studiata”.
Alberto Angela continua: “Non sapevo cosa fosse quel materiale dentro la bottiglia. Essendo la sua superficie un po’ in pendenza, avevo pensato che, in origine, si trattasse di una sostanza liquida e che la bottiglia, nella violenza dell’eruzione, fosse stata sepolta semi adagiata, rimanendo in quella posizione per secoli e portando quindi il liquido a solidificarsi “inclinato”. Avevo fatto subito contattare il direttore del museo Giulierini, che si era mostrato, come me, entusiasta del ritrovamento. Non è insolito, infatti, fare nuove scoperte nei depositi dei grandi musei. Ma questa era apparsa subito molto promettente. Sebbene la forma della bottiglia facesse pensare a dell’olio o a del vino, non potendo essere certi sulla natura del contenuto, non ci eravamo sbilanciati. Solo attraverso accurate analisi scientifiche di laboratorio sarebbe stato possibile trovare la risposta. Come forse ricorderete, però, avevamo annunciato questo ritrovamento nel settembre del 2018 in occasione della conferenza stampa di presentazione della puntata di Stanotte a Pompei, che tenemmo proprio al MANN di Napoli. Il reperto venne presentato ai fotografi e ai giornalisti assieme ad una forma di pane rinvenuta integra negli scavi: messi così, riproducevano fedelmente, e in modo sorprendente, un affresco pompeiano che rappresenta, appunto, una forma di pane e… una bottiglia di olio d’oliva. Ora, a distanza di due anni, sono lieto di condividere con tutti voi la notizia che le ricerche si sono concluse e che, effettivamente, quella bottiglia contiene olio di oliva. Anzi, l’olio di oliva più antico del mondo. Per arrivare a questa conclusione è stato fondamentale il lavoro svolto dal Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN). Le ricerche, condotte da un team multidisciplinare coordinato dal Professore Raffaele Sacchi, hanno verificato l’autenticità di quel campione di olio di oliva, conservato per anni e anni in una bottiglia di vetro sepolta dapprima sotto le ceneri dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e poi rimasta nei depositi del Museo. Sono orgoglioso di condividere con voi l’articolo della prestigiosa rivista Nature che ufficializza i risultati delle attività di ricerca. Ringrazio soprattutto tutti coloro che con impegno e passione hanno lavorato in questi due anni per regalarci questa bellissima notizia. E rivolgo anche il mio pensiero a chi, 200 anni fa, ha effettuato il ritrovamento nei sedimenti vulcanici, vedendo poi la sua bottiglia entrare nelle collezioni borboniche, per poi scomparire nell’oblio. La scoperta è sua e questa notizia gli rende un po’ di giustizia, anche se postuma. Personalmente sono molto contento che, sebbene siano anni che non partecipi più attivamente a degli scavi, la mia passione per la ricerca mi consenta ancora di fare delle “scoperte” (in questo caso sarebbe meglio dire una “ri-scoperta”). Sono tanti gli oggetti che rappresentano il percorso dell’umanità nella Storia che aspettano di essere ritrovati: alcuni sono ancora sepolti nel terreno, altri invece nelle collezioni dei depositi… Ma tutti riportano, fino ad oggi, la testimonianza della nostra cultura millenaria e lo straordinario patrimonio che custodiscono i nostri musei. In particolare il MANN che, a mio parere, è tra i più belli e importanti al mondo”.