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Fabio Tammaro con il suo “cozzetiello” di pesce che sta sorprendendo tutti a Verona

Fabio Tammaro con il suo “cozzetiello” di pesce che sta sorprendendo tutti a Verona

Fabio Tammaro, napoletano impiantato a Verona, il giovane chef è alla guida di un ristorante di successo.

Fabio, ci racconti un po’ della tua storia. Dove è nata la tua passione per la cucina?

La passione per la cucina è nata un po’ per caso. Devo molto a mia nonna che mi ha avvicinato a questo mondo straordinario fatto di profumi, sapori e colori d’infanzia. Ho frequentato la scuola alberghiera che mi ha insegnato tanto. Inizialmente ero attratto dal servizio di sala, poi successivamente il mio professore mi spostò in “office”, nel retro sala, e da quel momento ho scoperto un nuovo mondo, la cucina con i suoi sapori e le sue bellezze. Tutto ciò mi ha permesso di girare l’Europa, di scoprire nuove pietanze, di fare nuove esperienze.

Uno chef napoletano che ha un ristorante a Verona. Come mai questa scelta?

Una serie di combinazioni mi hanno portato a Verona. Lavoravo e vivevo a Copenhagen. Durante le ferie estive conobbi mia moglie (che viveva a Verona) e così decisi di ritornare in Italia per mettere su famiglia e iniziare a creare qualcosa di mio. Il ristorante “l’Officina dei Sapori” era nato già da qualche mese, incontrai la direzione di allora e decidemmo insieme di lanciare un progetto incentrato su di me. Il fatto che l’ Officina dei Sapori fosse già un ristorante di solo pesce di mare mi aiutò nella scelta e mi spinse a credere nel progetto che sino ad oggi funziona.

Fabio Tammaro da diversi anni sei al comando della cucina del ristorante “Officina dei Sapori” a Verona. Quanta creatività metti nei tuoi piatti e come nasce il piatto perfetto.

La creatività è alla base di tutti i piatti ma non è l’obiettivo principale da raggiungere. Non c’ è nulla da inventare ma solo da reinterpretare, nella maniera più personale possibile, tutelando e salvaguardando i sapori. La mia creatività proviene dalla storia della mia terra e dalle mie esperienze. Il cibo è un linguaggio universale che arriva in maniera differente ad ognuno di noi. Non è mai un’opera a senso unico, è uno scambio di fiducia ed un modo di comunicare tra chi è in cucina e chi siede a tavola. Il piatto perfetto è quello che riesce a trasmettere in maniera limpida tutto ciò. Quello capace di trasmettere sincerità.

Tu hai girato il mondo, in che modo cambia il lavoro da una cucina estera a quella italiana?

Cambia completamente e per vari motivi. Innanzitutto cambia la materia prima, noi abbiamo una fortuna immensa nel poter reperire materie prime di ottima qualità e di qualsiasi origine. All’estero difficilmente si riesce ad avere a disposizione la varietà dei nostri prodotti, a meno che non si usano prodotti di importazione. Poi cambiano i clienti e le loro abitudini, ci sono luoghi dove la gente ama il cibo più condito, altri dove si usa meno sale, altri dove si mangia il risotto al dente. Insomma, luogo che vai, usanza che trovi. E’ importante adattarsi in base al luogo, e non perdere di vista mai la propria identità, perché nel piatto, a tavola, arriva tutto chiaro e limpido.

Quanta napoletanità c’è nei tuoi piatti?

Difficile da stabilire ma sicuramente è una buona parte. Nel mio menù ci sono terminologie, prodotti e storia di Napoli e del Sud. Non si tratta di patriottismo o di orgoglio, ma di responsabilità nel divulgare la nostra cultura. Si tratta di essere sinceri con i miei ospiti, come se dicessi loro “io sono questo, non ho maschere, sono nudo!”. Per i dolci proponiamo la pastiera con la pasta e non col grano (la ricetta che diede origine un paio di centinaia di anni fa, la “past-ra-ajer”) e il babà, precedentemente chiamato kugenlhupf, come è nato (da Stranislao, Re di Polonia di inizio ‘700 e suocero di Luigi XV). Poi nel menù ci sono friarielli, freselle, paccheri, mozzarella di bufala, linguine sciuè-sciuè e altri prodotti tipici campani.

Ci parli di questo nuovo locale “Ancestrale”?

Ancestrale è  un aggettivo che indica una particolare caratteristica antica e che letteralmente indica “come una volta”, vuole essere una forma nuova di ristorazione, diretta, umana, che propone pesce nostrano nella versione “da strada” accompagnato da ottime birre in lattina. Tra le novità assolute il “cozzetiello”: un panino di pesce che sarà il simbolo di Ancestrale Birra e Mare. Non si tratta altro del pezzo finale di pane cafone, smollicato e farcito con preparazioni ittiche mediterranee: percorreremo le tradizioni marinaresche più tipiche della nostra penisola, dalle sarde in saor al baccalà mantecato, dai polipetti alla Luciana al brodetto marchigiano.

 

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